sabato 20 marzo 2010

Cinematherapy & Drammaterapia, un nuovo Corso ad Aprile a Roma


Anche un modulo di cinematherapy, secondo la lezione americana di Brigit Wolz, all'interno del nuovo corso di Drammaterapia per le Risorse in partenza il 9 aprile a Roma. La sponsorizzazione scientifica è dall'Atelier di Drammaterapia Liberamente sotto l'egida della Società It. di Ipnosi Sperimentale, Clinica ed Applicata e dell' Istituto Scuola Romana Rorschach.
Momento didattico all'interno dell'Atelier
all'interno di una piece drammaterapica,
dicembre 2007
Il Corso, diretto dallo psichiata e psicoterapeuta romano E. Gioacchini, si articolerà in seminari, conferenze e laboratori serali (al venerdì), con l'intervento di docenti provenineti dall'ambito psicologico e dello spettacolo. La metodologia si riferisce all’utilizzo della drammaterapia come metodo che permette ai partecipanti l’espressione creativa del proprio “processo artistico”, attraverso una vasta gamma di strumenti quali la recitazione, l’hypnodrama, lo storytelling, la musica, il gioco, la tecnica del mimo, il movimento e la danza. I partecipanti saranno guidati alla sperimentazione ed elaborazione personale del linguaggio teatrale, che passa sia attraverso la riscoperta di sé, del corpo e delle sue possibilità espressive, che la riformulazione di un nuovo rapporto con l’esterno -lo spazio, gli oggetti e gli altri.
In particolare, il modulo di cinematerapia sarà tenuto dal dott. E. Gioacchini e dalla dott.ssa Maria Pina Egidi. Il primo incontro è fissato per venerdì 9 aprile (h. 20,00). Iscrizioni a numero chiuso.
INFO Per informazioni ed iscrizioni ci si può rivolgere alla segreteria del CDIOT al Tel 335-8381627 - Fax: 06-86211363/70. E.mail, info.atelier@dramatherapy.it
 
Foto: Teatri di Roma, Il Colosseo, di C. Gioacchini

venerdì 12 marzo 2010

CINEMATHERAPY, LA CADUTA. IL FASCINO DISCRETO DEL MALE

Maria Pina Egidi

Nel blog gemello di drammaterapia, ci è stato inviato il post " Drammaterapia: amore e distruzione in una frase", ispirato al film “La caduta- gli ultimi giorni di Hitler”,  per introdurre e commentare parte del percorso creativo ed emozionale che del gruppo impegnato nella rappresentazione ispirata a “Il rinoceronte” di E. Ionesco. L’opera è, drammatica e complessa e si presta a diversi piani di lettura: storico-documentale, psicologico, ideologico o puramente narrativo ecc. Vogliamo in questa sede, analizzarne alcuni aspetti più specifici, legati alla rappresentazione del personaggio di Adolf Hitler.
Basato in parte sui racconti di Traudl Junge, che fu segretaria di Hitler durante gli ultimi giorni dell’aprile del 1945 del dittatore e dei suoi fedelissimi, nel bunker della Cancelleria del Reich, il film mostra gli eventi e le dinamiche tra gli abitatori dell’ultimo baluardo del nazismo. Mentre la Germania è allo stremo e Berlino sta per cadere, il Fuhrer sta progettando l'impossibile e folle riscatto del grande Reich, indifferente e insensibile alla caduta sempre più prossima. Con lui, nell’estrema follia, vi sono Eva Braun, Joseph Goebbels e la sua famiglia al completo, i fedelissimi dell’ultima ora, collaboratori e domestici. L’epilogo del film è conforme alla verità storica conosciuta: il matrimonio in extremis, il suicidio, pochi sopravvissuti. Tra questi la giovane segretaria Traudl che il Tribunale di guerra dichiarerà innocente, vista la giovane età.

Molti anni dopo gli eventi narrati nel film, Traudl Junge, in più di una intervista, affermerà dolorosamente di sentirsi ancora colpevole e connivente e di non aver mai considerato la sua gioventù all’epoca dei fatti come un alibi o un’attenuante. La donna, assolta dal tribunale di guerra, è colpevole secondo il tribunale della propria coscienza. Durissima conclusione; condivisibile se si fa proprio l'assunto che esistano diversi gradi di responsabilità individuale e che l'assenza di consapevolezza, la connivenza con il potere, l'ignoranza e la passività sostengano l'anima nera del mondo. Come può una ragazza di provincia di appena ventidue anni -tra l’altro, neanche iscritta al partito nazista- aver aderito in forma così totale a una ideologia di morte, tanto da sentirsi una criminale di guerra dopo tanti decenni? La risposta viene offerta dal film. Poter rappresentare i fatti da più angolazioni e più punti di vista, tanti quanti sono i protagonisti, è la grande forza di cinema e teatro, soprattutto se si parla di realtà storica. Viene data allo spettatore la possibilità di comprendere, in maniera globale, le dinamiche e le motivazioni delle azioni narrate che attraverso altre forme narrative, sarebbero evidenziabili solo per mezzo di processi di analisi e sintesi più articolate e complesse.

Deve essere preliminarmente detto che la situazione descritta, al di là della sua collocazione storica, è estrema. Senza dubbio la giovane Traudl del film è ritratta nella sua fase acerba, e, nella decotentestualizzazione storica e umana del film, le mancano ovviamente i punti di riferimento etici e culturali con cui rapportarsi. Bruno Ganz, che interpreta il Fuhrer, dà vita a un personaggio sempre sconvolgente: momenti più estremi di delirio si alternano a scene di bonarietà, comprensione, persino gentilezza d'animo . Si veda la scena in cui paternamente passa in rassegna le aspiranti segretarie e sceglie, alla fine , Traudl , “la ragazza di Monaco”, come sua diretta collaboratrice. Si pensi alla tenerezza delle carezze al cane, l'estrema fedeltà a Eva Braun o, ancora, al tremore che scuote la sua mano, che suscita immediatamente nello spettatore la visione dei propri vecchi afflitti dal Morbo di Parkinson.


Quando nelle sale cinematografiche, Il film lasciò interdetta parte della critica: troppo audace la rappresentazione delle contraddizioni del personaggio; troppo pericoloso “umanizzare” e “quotidianizzare” Hitler; inimmaginabile suscitare nello spettatore una forma -sia pure larvale- di empatia per quel tremore parkinsoniano e per quelle carezze al cane. Il rischio di uno scandaloso revisionismo era vista dietro l'angolo. A mio parere, il film è invece ben lontano da tale rischio. Esso mostra crudelmente una verità semplice e terribile. Sarebbe bello se l'istinto di distruzione e di morte, l'indifferenza verso i propri simili, la sopraffazione, l'inganno e tutto quello che si identifica con il concetto di “male” fossero sempre riconoscibili. Il biblico marchio di Caino, se fosse visibile e immediatamente identificabile, sarebbe un vantaggio enorme per riconoscere e individuare chi ha fatto del male la propria guida. Non vi è puzzo di zolfo rivelatore che segnali la presenza del maligno, né la bellezza ambigua e inquietante di un angelo caduto, forse in lotta con il suo creatore o forse semplicemente desideroso di vivere la propria individualità. Il male, il “demonio”, le anime nere sono subdoli e astuti: si nascondono dietro le spoglie della normalità, violano le serrature della coscienza umana con il grimaldello della banalità, della discrezione e del basso profilo.
La visione di film come “La caduta” è forse una delle situazioni meno “passive” per lo spettatore. Coinvolge sensi, emozioni e senso morale. Solo per citarne alcuni effetti: stupore di fronte alla crudeltà delle dinamiche dei suicidi (si veda Magda Goebbels), forse senso di colpa se, per una frazione di secondo, si è registrata la gentilezza di Hitler verso Traudl, rabbia di fronte al momento di relax di due donne che fumano all’esterno del bunker una sigaretta clandestina, prese dal piacere della situazione, ma cieche verso le macerie che le circondano Un’opera del genere rischia di lasciare lo spettatore sensibile con un senso di disagio che, se non “processato”, sarebbe un’opportunità persa. Il risveglio della coscienza, nuovi interrogativi sul proprio senso morale , sulla propria capacità di discernimento, sul proprio ruolo nel contesto in cui si vive e si opera, l’uso sapiente del senso critico e del libero arbitrio non sono solo capisaldi dell’etica personale, sono anche gli elementi che determinano l’identità individuale e la sua percezione , la pienezza e la saldezza che può chiamarsi “benessere”.
Uno spunto ricchissimo per la cinematherapy.

Foto: fotogrammi da La Caduta, gli ultmi giorni di Hitler,  di Oliver Hirschbiegel, 2004
Movie: Trailer di The Downfall: Hitler and the End of the Third ReichFilmografia:


Titolo originale: Der Untergang. Nazione: Germania. Data di uscita: 2004. Genere: Drammatico. Durata: 150 minuti. Regia: Oliver Hirschbiegel. Cast: Alexandra Maria Lara, Bruno Ganz, Corinna Harfouch, Juliane Kohler, Ulrich Matthes

martedì 9 marzo 2010

Cinema Therapy: l'uso dei lungometraggi naturalistici. Parte seconda

Il lungometraggio naturalistico: appunti per un possibile utilizzo in cinema therapy di M. P. Egidi e E. Gioacchini (parte seconda)

Come recentemente abbiamo già espresso nel corso di alcuni dibattiti in rete, riteniamo che a buon diritto l’utilizzo di documentari naturalistici e, come nel caso della Marcia Dei Pinguini, in format di cartoon, si possa prestare in setting di cinema therapy dedicati. I contesti, lo ripetiamo, possono andare da quelli in cui venga valutato importante il target della "rifondazione" di progetti personali di vita, momentaneamente contratti nell'esperienza del singolo o del gruppo, a quelli in cui ci si prefigge di sottolineare l’importanza delle risorse inespresse. In tali situazioni, il passaggio che in metafora riesce creativamente a parafrasare comportamenti tipicamente umani (antropomorfizzazione dell’animale) torna alla persona con correzioni che a volte sarebbero difficilmente accettabili nel senso comune. Ci spieghiamo meglio... In una società moderna, tipicamente aliena dall’uso del mito, ed orientata più in senso "digitale" che "analogico", che permette sempre meno posizioni di giudizio "processuale", la didascalia sottintesa nel testo cinematografico o la morale del racconto, il messaggio della trama, riesce maggiormente ad aggirare l’ostacolo della censura, ed il facile giudizio di “retorica” altrimenti percepito nel messaggio ed a lavorare profondamente. L’ingenuità del personaggio animale, così antropomorfizzato, è accettata, come pure sono by-passati il senso critico o del ridicolo, eventualmente suscitati dagli elementi simbolici del testo. Nel film "La Marcia dei Pinguini", l’abilità del piccolo animale nel passare dalla profondità dell’oceano, alla superficie difficile eppure “possibile” della terraferma, costituisce, ad esempio, una importante metafora della possibilità di scoprire abilità e risorse sconosciute; così come la sua “marcia” è una buona esemplificazione di un percorso verso il cambiamento, la eventuale necessità di una ridefinizione di ruoli.
Il gap generazionale così acutamente tratteggiato e reso caricaturale nella sceneggiatura del film, ingenera riflessioni che superano la critica formale del “risaputo”, dello “scontato”, proprio perché sono animali a parlare di noi, con tematiche che parlano insieme di leggi naturali e di psicologia dell’uomo. Il tema del dolore, della sconfitta, come quello del coraggio ed anche della gratuità degli eventi favorevoli che sembrano spesso poter premiare la perseveranza, il rischio, in fondo l'attesa del positivo, possono articolarsi in ambientazioni inusuali, che li ripropongono in modo ancora originale e nuovo alla rilettura dello spettatore. La nozione scientifica, così romanzata nel testo, finisce per dare forza e credibilità a messaggi più importanti che riguardano la relazione, l'attribuzione personale di senso, gli obiettivi.
Nella parte finale del film, poi, quest’ultimo, l’uomo, è finalmente messo a confronto con se stesso, con la propria capacità di saper nascondere delle verità, di sfruttarle egoisticamente ad esclusivo personale vantaggio o finalmente di farne elemento di progresso insieme per l’individuo e per il gruppo. Da sottolineare l’elemento sottinteso che evidenzia il popolo dei personaggi di questo genere di documentari o film, gli animali e quello degli spettatori, gli uomini, come appartenenti allo stesso territorio e con la necessità di una contestuale armonica convivenza su un identico pianeta. Sensi di solitudine, perso spirito di appartenenza al gruppo, radicali asociali od anche dissociali di alcune personalità, possono utilmente ricevere suggestioni, come motori alla ridefinizione di ruoli, in una silenziosa reverie di racconti personali apparentemente persi nella memoria cosciente e recuperati proprio attraverso la positiva “regressione al servizio dell’Io” che lo spettacolo sollecita.

Foto: La Marche de l'empereur, fotogrammi
Filmografia:
REGIA: Luc Jacquet
FORMATO: Colore
SCENEGGIATURA: Luc Jacquet, Michel Fessler
FOTOGRAFIA: Laurent Chalet, Jerome Maison
MONTAGGIO: Sabine Emiliani
MUSICHE: Emilie Simon
PRODUZIONE: Bonne Pioche, Canal+, Alliance de Production Cinematographique, Buena Vista
DISTRIBUZIONE: Lucky Red
PAESE: Francia 2005
GENERE: Documentario
DURATA: 80 Min

sabato 6 marzo 2010

Cinematherapy: l'uso dei lungometraggi naturalistici



Premesso che qui si parla del documentario o del lungometraggio naturalistico di qualità e l'’oggetto della discussione è il lavoro di ripresa dal vivo della realtà naturale, senza alcuna manipolazione, aggiustamento, abbellimento del soggetto e dell’ambientazione, desideriamo analizzare la possibilità e le potenzialità di un documentario sulla wilderness nei setting di cinematherapy.
Il successo e il consenso intorno a tale genere è indubbio. Cito qui un recente caso come la “Marcia dei Pinguini” (http://www.lamarciadeipinguini.it), film documentario di produzione francese, che mostra il lungo e impervio cammino, tra i ghiacci antartici, di tali animali per garantire la sopravvivenza della specie.
Pochi colori: il bianco della location, la livrea bicolore del pinguino, l’azzurro del cielo e la gamma dei grigi delle tempeste dei ghiacci. Scarsi protagonisti: i pinguini raramente interagiscono con altri animali, quasi inesistenti le spettacolari lotte contro predatori, assente l’uomo (ovviamente) e la sua opera. Eppure, il film, uscito nel 2005 in Italia, ebbe un successo eclatante e il commento italiano di un personaggio di vasto consenso come Fiorello era “solo” un valore aggiunto a un’opera che puntava sul fascino di una storia vera e dura da raccontare senza sconti e vinceva la scommessa. Successo meritato, direi, di questa e di altre opere, analoghe per ispirazione e coerenza stilistica e di intenti. Soprattutto se si pensa che c’è un “film nel film”, in questi casi. Pochi minuti di onesta ripresa, condotta con l’occhio e lo spirito del naturalista osservatore, sono spessissimo la ricompensa per giorni di appostamenti, di monitoraggi e di accorgimenti complessi, finalizzati, nella stessa misura, a non turbare gli habitat e a garantire un risultato ottimale dal punto di vista tecnico.
La misura del consenso e dell’interesse verso questo genere può essere data da ciò che capita di frequente nell’esperienza professionale di chi opera – inclusa la sottoscritta - nel campo dell’educazione ambientale e della biologia della conservazione.
Circola tra noi “addetti ai lavori” la storia che, in una scuola elementare romana, quando fu chiesto ai bambini di citare alcuni animali selvatici, gran parte degli allievi citarono lo gnu, sottovalutando specie più familiari del nostro ambiente quali l’istrice e la volpe. E’ una risposta che lascia basiti sul momento, ma forse neanche poi troppo sorprendente se si pensa che esiste una nuova generazione urbana che non conosce le lucciole (ricomparse solo recentemente in parchi e giardini, dopo un diminuzione dovuta all’inquinamento) e che ha da tempo fraternizzato con i cicli vitali di animali esotici, grazie ai documentari televisivi.
Le finalità dei documentari naturalistici sono commendevoli. Educano, informano, comunicano valori, a volte divertono o fanno riflettere. Non fanno sconti: niente “happy end” – o meglio – l’happy end è sotteso, a volte, nella trama del lavoro perché se si riesce a documentare l’intero ciclo vitale di un esemplare o di un branco, si mostra il successo evolutivo, la vittoria sugli elementi, il compimento di un’avventura di vita. Tuttavia non è possibile nascondere allo spettatore immagini e concetti fondanti della scienza: la morte certa di un cucciolo ferito o abbandonato, la predazione crudele (ma mai impari), la scomparsa di habitat sotto pressioni naturali o antropiche.
Quindi, ci si può chiedere, quanto sia efficace e opportuno l’impiego di tale genere cinematografico nei percorsi di cinematherapy.
Prescindendo dal valore didattico del documentario/lungometraggio naturalistico di mostrare correttamente le leggi di natura, quando e come è possibile utilizzarlo in un setting di cinematerapia, tenuto conto che (come si legge nel frame a fianco) la scelta dell’opera è affidata al soggetto/paziente?
La mia personale risposta di cultore della materia, è per l’utilizzo di tale genere per la valorizzazione delle risorse personali dell'individuo (piccolo o grande che sia). Ad esempio, nel film in oggetto viene mostrato correttamente l’assunto darwiniano della sopravvivenza del più adatto (non del più forte, si badi bene!) e ciò può far comprendere quanto sia opportuno e necessario andare oltre i propri limiti, saper riconoscere le insidie dell’ambiente in cui si vive e si opera, imparare una nuova disciplina di sé stessi, non essere statici nei propri obiettivi, liberarsi da paure e schemi mentali non più adattivi…

Cinema Therapy : Camera con Vista


@ Maria Pina Egidi


"Spense la lampada. La luce non le permetteva di pensare, né di sentire. Smise di cercare di capire se stessa, e si unì alle vaste schiere di persone comuni, che non seguono né il cuore né il cervello e marciano verso il loro destino con degli slogan. Le schiere sono piene di gente simpatica e pia. Ma costoro hanno ceduto all'unico nemico che conti... il nemico che è dentro di noi. Hanno peccato contro la passione e la verità, e vana sarà la loro gara per inseguire la virtù. Come gli anni passeranno, saranno criticati. La loro cordialità e la loro pietà mostreranno delle crepe, il loro spirito diverrà cinismo, la loro generosità ipocrisia; sentiranno e cagioneranno inquietudine dovunque vadano. Hanno peccato contro Eros e contro Pallade Atena, e non per intervento celeste, ma seguendo il normale corso della natura, quelle divinità alleate saranno vendicate!
Camera con Vista, Edward Morgan Forster

Il peccato originale per gli scienziati e per chi ha deciso di vivere con le proprie forze l’avventura terrena è, come ho già scritto, andare contro le legge dell’eterno mutare delle cose.
L’energia, la materia, la natura, la specie umana, l’uomo, l’individuo con la sua coscienza, la società.. tutto cambia, si trasforma, è assodato, dimostrato dalle leggi della termodinamica, come dall’esperienza quotidiana.
Ma parlando, in termini “religiosi” se si pecca contro il divenire, c’è anche una punizione, o - per gli scienziati, - una conseguenza, anche essa legge di natura, quella dell’azione e reazione. Punizione e inferno in terra, quella del rimanere uguali a sé stessi, di non conoscere mai la bellezza di una maturità ricca con una mente e un’anima così piene di cose da ricordare e di emozioni da rinverdire che si sente il bisogno di donarle, di condividerle, di farle uscire a prendere aria per fare spazio a nuove cose da conoscere e da vivere
Quando, il giorno di uno dei miei compleanni più “critici”, mi guardai allo specchio per scrutare se il tempo aveva lasciato segni (come se questi spuntassero in una notte!), mi accorsi che la mia faccia era quella del giorno prima (le donne fanno di queste cose..) e non ne fui sollevata. Pensai “E se la mia faccia rimanesse sempre uguale, perché nessun sorriso profondo riuscirà a tracciare segni, perché il sole e il vento non potranno arrivare a colpirla, perchè né malattia né fatica lasceranno tracce? Che disastro e che noia sarebbe vedermi tutti i giorni sempre uguale…” Ovviamente il pensiero non era così limpido e articolato, né espresso con parole tanto solenni, c’era sempre la vanità femminile a fare da contraltare e solo ora so dargli il senso completo.
Ho appena terminato la lettura di “Camera con vista” e l’ho trovato stupendo. Vi si narra di Lucy, fanciulla inglese che scopre la differenza tra l’ascolto del buon senso e l’ascolto di sé.
Solo quando la protagonista smetterà di mentire a sé stessa e agli altri, quando riuscirà a capire che ogni scelta ha un prezzo da pagare, ma che occorre farla con coerenza e rispetto di sé, allora uscirà dalla schiera delle persone che hanno rifiutato l’evoluzione, sia essa guidata dalla ragione o dal sentimento (citazione nella citazione).
In questa frase che tanto mi ha colpito, c'è tutto l’orrore di una involuzione (non sempre il cambiamento è in meglio), descritta con poche frasi per mostrare che la rinuncia al proprio cambiamento non è senza conseguenze, non garantisce la tranquillità e la pace interiore. Come una nube tossica, come la muffa del pane, corrompe le doti più nobili, porta alla decadenza le migliori intenzioni.
Leggendo, mi sono tornati in mente i vestiti mai indossati perché troppo eleganti (sapete i completi che si comprano per un matrimonio o per una grande occasione?). Rimangono uguali nella forma ma sbiadiscono, ingialliscono, si impolverano, suscitano tristezza e sono un poco strani..., ma sono nostri.

Camera con Vista (Room vith View), di Edward Morgan ForsterFilmografia:

Movie:
Regia: James Ivory Sceneggiatura: Ruth Prawer Jhabvala Attori: Maggie Smith, Helena Bonham Carter, Julian Sands, Denholm Elliott, Simon Callow, Patrick Godfrey, Judi Dench, Rupert Graves, Fabia Drake, Daniel Day-Lewis, Joan Henley, Rosemary Leach, Maria Britneva Fotografia: Tony Pierce-Roberts Montaggio: Humphrey Dixon Musiche: Richard Robbins Produzione: GOLDCREST FILMS LTD., MERCHANT-IVORY PRODUCTIONS, NATIONAL FILM FINANCE CORPORATION, CURZON FILM DISTRIBUTORS, FILM FOUR INTERNATIONAL, MERCHANT-IVORY PRODUCTIONS DISTRIBUZIONE: BIM DISTRIBUZIONE (1986) - AUDIOVISIVIPAESE: Gran Bretagna 1985 Genere: Commedia, Romantico Durata: 115 Min Formato: Colore PANORAMICA
Soggetto: romanzo di E.M. Forster
Riconoscimenti: 3 Premi Oscar 1986: Migliore Sceneggiatura non originale, Migliore Scenografia, Migliori Costumi. Premio David 1987 per il Migliore Regista Straniero a Jameis Ivory