venerdì 12 giugno 2009

Cinema Therapy. L'incredibile inizio di un grande amore

L’incredibile inizio di un grande amore
Se da bambina mi avessero detto che un giorno avrei amato così tanto il cinema da sentirmi oggi come se fossi regista, sceneggiatrice, attrice e comparsa di ciò che vivo, avrei risposto: “E’ impossibile, non succederà mai”.
I miei primi contatti con il mondo della celluloide sono stati traumatici, roba da denuncia a alla Commissione internazionale per i diritti dell’infanzia!
Avevo sei anni e mio padre mi portava ogni giorno allo sgangherato cinema dietro casa dove proiettavano il peggio dei western all’italiana; e io morivo di paura a vedere tutti quegli uomini "brutti, sporchi cattivi" (e presumibilmente puzzolenti) che si sparavano tra di loro. Ogni tanto (cioè quasi mai) c’erano pellicole con Stanlio e Ollio che mi ridavano fiducia nella vita...
E così , se le altre bimbe della mia generazione, sono cresciute ammirando la soavità de “Gli Aristogatti” io ho conosciuto prima la rudezza degli ambienti del selvaggio West creati in studio a Cinecittà o imitati tra i monti della Tolfa.
Nei miei ricordi infantili non risuona il canto di Cenerentola , bensì il sibilo delle pallottole, i rumore delle cariche del VII Cavalleggeri e frasi del tipo:”E’ finita per te, gringo! Preparati a morire”.
Ho frequentato le elementari in un istituto di suore.
Nella Settimana Santa, la superiora ci offriva la visione di un film edificante che ci desse spunti di meditazione per la Pasqua.




Ci costringeva così alla visione di film come “Incompreso”, “Marcellino, pane e vino”, “Bernadette” e roba così. Noi bambinette tenerelle ci scioglievamo in lacrime, di fronte a tante scene e, se possibile, mostravamo il nostro commosso pianto alle suore per dimostrare loro che sì, sì, avevamo capito il messaggio del film, che saremmo state brave con le maestre e i genitori, che avremmo amato i nostri fratellini e saremmo state pronte anche all’estremo sacrificio.
Il film peggiore che io ricordi si intitolava “Maria nel villaggio delle formiche”; c’era una piccola missionaria giapponese che portava il suo aiuto ai sopravvissuti di Hiroshima e ,ovviamente , alla fine moriva. Non ci veniva risparmiato niente: devastazione, contaminazioni atomiche, sopravvissuti mutilati e con la pelle a brandelli, e, per tutta la durata del film, pioveva.
Fu un’esperienza terribile: temevo che sganciassero una bomba atomica nel prato sotto casa e solo dopo tre giorni mi convinsi che la seconda guerra mondiale era terminata .
Poi, ho firmato la pace con il cinema e me ne sono innamorata, come da copione.
Infatti, spesso i grandi amori iniziano con l’odio e la repulsione.