@ Ermanno Gioacchini
Un film può far bene, ha ragione Maria Pina, anche se non passa attraverso un setting di psicoterapia e mi riferisco a quel tipo di “estesa” cura che l’arte offre, come risorsa dell’individuo, all’anima.-per usare un codice caro ad Hilmann.
L’arte, fin dalle sue prime manifestazioni, si concreta in un “divino” tentativo di riproduzione della realtà, così come percepita ed interpretata dall'individuo; definisco divino il dialogo intimo, emozionale, dell’individuo primitivo con se stesso, quando sollecitato da uno stimolo esterno, in qualche modo “allucinatorio”, al di fuori di uno stato di consapevolezza cosciente (Julian Jaynes), come è proprio dell’espressione artistica da allora in poi. Un essere diventato troppo evoluto -che Jaynes, questa tappa, la dati tremila o alcune migliaia di anni prima- per dellegare solo agli istinti od al Dio il proprio adattamento alla realtà, comporta che ora la mediazione verso di essa avvenga attraverso l’espressione artistica, un processo che pesca nell’onirico e nello stato di coscienza modificato. La condizione un poco “folle” che attribuisce all’arte la qualità della follia da sempre. Una follia che torna contestualmente a curare il singolo e la collettività. Lo sciamano, se non è passato per una personale storia di follia, poi guarendo, non è tale e le sue rappresentazioni estatiche, i suoi "viaggi", costituiscono i primi teatri dell’antichità, prima di quelli greci e latini. Egli propone al gruppo riunito la propria “visone”, che solo l’assenza di un mezzo di ripresa cinematografico vieta di chiamare "film".
L'artista attraverso la propria opera, svela relazioni nascoste che superano i rapporti sensibili con la realtà ed anche il gioco mondano delle apparenze. Il quid, sempre specifico, che costituisce il suo genio, si mescola con una particolare forma di comunicazione che intendiamo come "rivelazione". Questa funzione, in alcuni casi, giunge ad essere profetica, anticipa il tempo che verrà, ma tuttavia è sempre strettamente collegata al reale, sul quale getta il ponte di nuove visioni.Il senso di ogni opera d'arte e, dentro di quella di qualunque atto che sia creativo, è inscritto nella dialettica invisibile con chi ne è spettatore. Ogni espressione artistica è figlia del suo tempo, erede del passato e profetica di quello dopo, mentre "discute" con i suoi contemporanei, li contraddice o li serve, condanna od esalta a seconda dei casi. In questo risiede la sua funzione "sciamanica". Questo dialogo a volte è conflittuale, in alcuni momenti si esprime attraverso il tormento dell' ispirazone dell'artista, nel dolore della ricerca, sul filo sottile tra genio e follia del medesimo, ma fondamentalmente appartiene ad ogni atto creativo. Anzi c'è Arte perché io posso riprodurla in me ed è prerogativa del suo invisibile rapporto con il collettivo il fatto che in questa operazione essa non si reifichi, diventando solo oggetto estetico. Il campo simbolico è, infatti, il luogo dove l'artista ed il suo atto creativo si incontrano con lo spettatore, perché la creatività, come si è già detto, è trasversalmente di tutti, geni, esecutori e passanti distratti.
La manifestazione artistica nasce, quindi, proprio da questo “incontro intelligente ed emotivo” con la spinta investigatrice verso la realtà; dove, su un piano più elementare e primitivo, la vita prima si difendeva senza la mediazione di una mente. Per questo, essa si sviluppa come pratica prima “confabulatoria”, come un sogno, una fuga psicotica e poi alleandosi a risorse ed abilità, in funzione “consolatoria”, appunto divinatoria che delega al “mito” la descrizione del passato ed alla “profezia” quella del presente e futuro. Qui il carattere assolutamente allegorico dell’arte e quanto essa produce. Ed è a questo punto, promettendo di conciliare, come “terra di mezzo”, la terra ed il cielo, di rompere la paura atavica dell’abbandono della morte, della “finitezza” scoperta con la coscienza, penetra nella realtà, tentacolare, come una piovra la pervade, articolandosi con il linguaggio che aiuta a creare, fino a celarsi a volte misconosciuta, dentro le sue strutture. Diventa un quadro in un museo, solo apparentemente capace di curare se si fa il biglietto, delirio di un folle sulla tela o su un’opera “maledetta”, percorso suggerito, mai obbligato, se non nelle accademie artistiche!
"La follia è, se vogliamo, una visione del mondo, che nel mondo non trova conferme. E ' un sentire tutto individuale, che associa immagini e spiegazioni, eventi e cause in un modo del tutto singolare, all'interno del quale è la significatività soggettiva ad avere la meglio sulle possibilità e opportunità reali. Follia è credere nel mondo così come lo si interpreta individualmente, credere in un proprio mondo nel quale le cose si associano secondo un ordine simbolico di significato tutto arbitrario e intessuto di elementi e odori dell'inconscio, dei sapori del desiderio, della consistenza delle paure più profonde e arcaiche". ( A. Carotenuto)*
Un film può far bene, assolutamente, anche se non proposto dalla prescrizione di un terapeuta , perché si riconnette a questa trama invisibile, archetipale, come dialogo silenzioso nel nostro inconscio; gli permette la momentanea riproposizione simbolica dello sconforto e della consolazione che sono origine e soluzione dell’arte; rassicura facendoci piangere, ricordare, rimpiangere, consolare. Esso risveglia la coscienza tra memoria antica ed proiezione verso il nuovo, celebra l’unione di mondi diversi, diverse rappresentazioni come differenti interpretazioni, riassume invisibilmente la nostra evoluzione psichica.
"E questo modo di essere, che strizza l'occhio più a quella che ingenuamente definiamo follia, ci riporta alla mente anche la visione di teatro e poesia "non pervertita" che proclamava Artaud. Che auspicava per il teatro un ritorno - o meglio, una riscoperta- del potere dei sensi, alla fascinazione del magico e dell'irrazionale, all'immediatezza e all'efficacia comunicativa delle immagini, della completezza della scena. La riscoperta, cioè, di un linguaggio "materiale e solido", fatto di tutto ciò che possa materialmente esprimersi e presentarsi sulla scena, colpendo i sensi.E il linguaggio dei sensi, dei simboli (tanto cari ad Artaud nella sua ammirazione del teatro balinese) sono propri dell'inconscio, degli strati più arcaici della psiche. Quelli della follia. Ma anche dell'arte e del teatro.
…in una provocazione di Artaud, ma nella quale credo possa rintracciarsi tutto il nesso tra teatro, arte e follia".
"E' bene che talune nostre eccessive comodità scompaiano, che certe forme siano dimenticate: allora la cultura fuori dalla spazio e dal tempo, racchiusa nella nostra capacità emotiva riapparirà con accresciuto vigore. E' dunque giusto che ogni tanto avvengano cataclismi per incitarci a ritornare alla natura, o, in altre parole, a ritrovare la vita" (Artaud, 1964, 130)*
*Relazione tenuta dal maestro prof. A. Carotenuto nel Modulo Cinema Teatro & Follia del Convegno Follia dell'Arte & Arte della Follia, Hypnodrama.it - SIPs, Roma, Palazzo Barberini, il 5-6 dicembre 2003, ultimo contributo del Maestro alla nostra associazione
La manifestazione artistica nasce, quindi, proprio da questo “incontro intelligente ed emotivo” con la spinta investigatrice verso la realtà; dove, su un piano più elementare e primitivo, la vita prima si difendeva senza la mediazione di una mente. Per questo, essa si sviluppa come pratica prima “confabulatoria”, come un sogno, una fuga psicotica e poi alleandosi a risorse ed abilità, in funzione “consolatoria”, appunto divinatoria che delega al “mito” la descrizione del passato ed alla “profezia” quella del presente e futuro. Qui il carattere assolutamente allegorico dell’arte e quanto essa produce. Ed è a questo punto, promettendo di conciliare, come “terra di mezzo”, la terra ed il cielo, di rompere la paura atavica dell’abbandono della morte, della “finitezza” scoperta con la coscienza, penetra nella realtà, tentacolare, come una piovra la pervade, articolandosi con il linguaggio che aiuta a creare, fino a celarsi a volte misconosciuta, dentro le sue strutture. Diventa un quadro in un museo, solo apparentemente capace di curare se si fa il biglietto, delirio di un folle sulla tela o su un’opera “maledetta”, percorso suggerito, mai obbligato, se non nelle accademie artistiche!
"La follia è, se vogliamo, una visione del mondo, che nel mondo non trova conferme. E ' un sentire tutto individuale, che associa immagini e spiegazioni, eventi e cause in un modo del tutto singolare, all'interno del quale è la significatività soggettiva ad avere la meglio sulle possibilità e opportunità reali. Follia è credere nel mondo così come lo si interpreta individualmente, credere in un proprio mondo nel quale le cose si associano secondo un ordine simbolico di significato tutto arbitrario e intessuto di elementi e odori dell'inconscio, dei sapori del desiderio, della consistenza delle paure più profonde e arcaiche". ( A. Carotenuto)*
Un film può far bene, assolutamente, anche se non proposto dalla prescrizione di un terapeuta , perché si riconnette a questa trama invisibile, archetipale, come dialogo silenzioso nel nostro inconscio; gli permette la momentanea riproposizione simbolica dello sconforto e della consolazione che sono origine e soluzione dell’arte; rassicura facendoci piangere, ricordare, rimpiangere, consolare. Esso risveglia la coscienza tra memoria antica ed proiezione verso il nuovo, celebra l’unione di mondi diversi, diverse rappresentazioni come differenti interpretazioni, riassume invisibilmente la nostra evoluzione psichica.
"E questo modo di essere, che strizza l'occhio più a quella che ingenuamente definiamo follia, ci riporta alla mente anche la visione di teatro e poesia "non pervertita" che proclamava Artaud. Che auspicava per il teatro un ritorno - o meglio, una riscoperta- del potere dei sensi, alla fascinazione del magico e dell'irrazionale, all'immediatezza e all'efficacia comunicativa delle immagini, della completezza della scena. La riscoperta, cioè, di un linguaggio "materiale e solido", fatto di tutto ciò che possa materialmente esprimersi e presentarsi sulla scena, colpendo i sensi.E il linguaggio dei sensi, dei simboli (tanto cari ad Artaud nella sua ammirazione del teatro balinese) sono propri dell'inconscio, degli strati più arcaici della psiche. Quelli della follia. Ma anche dell'arte e del teatro.
…in una provocazione di Artaud, ma nella quale credo possa rintracciarsi tutto il nesso tra teatro, arte e follia".
"E' bene che talune nostre eccessive comodità scompaiano, che certe forme siano dimenticate: allora la cultura fuori dalla spazio e dal tempo, racchiusa nella nostra capacità emotiva riapparirà con accresciuto vigore. E' dunque giusto che ogni tanto avvengano cataclismi per incitarci a ritornare alla natura, o, in altre parole, a ritrovare la vita" (Artaud, 1964, 130)*
*Relazione tenuta dal maestro prof. A. Carotenuto nel Modulo Cinema Teatro & Follia del Convegno Follia dell'Arte & Arte della Follia, Hypnodrama.it - SIPs, Roma, Palazzo Barberini, il 5-6 dicembre 2003, ultimo contributo del Maestro alla nostra associazione
Foto: foto di scena di "Rodolfo", piece dramaterapica di E. Gioacchini, Atelier Liberamente, dicembre 2007