mercoledì 2 giugno 2010

Cinematherapy: la Commedia all'italiana


Commedia all'italiana, ci chiediamo se i suoi contenuti possano interpretare spirito e costume di altri luoghi, vista la intensa caratterizzazione dei personaggi ed interpreti che l'hanno fatta, registi ed attori, personaggi e contesti. La domanda è retorica poichè la storia degli ultimi quarant'anni di cultura e cinema hanno ampiamente dimostrato che la nostra cara "commedia", quella specie di teatro nel cinema -mi piace immaginare-, ha coivolto nella visione spettatori di ogni latitudine.
Film come Totò Cerca Casa (1949) di Steno-Monicelli; Il Vedovo Allegro (1949), Totò Sceicco (1950) di Mario Mattoli; La Banda deli Onesti (1956) di Camillo Mastrocinque; Nata a Marzo (1957) di Antonio Pietrangeli; I Soliti Ignoti (1958), La Grande Guerra (1959), Risate Di Gioia (1960), I Compagni (1963) e L'Armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli; Il Buono, Il Brutto E Il Cattivo (1966) di Sergio Leone...tanto per citarne solo alcuni.
Mario Monicelli, in un'intervista di Francesca Arceri, intitolata "Il (sor)riso amaro della commedia all’italiana", afferma: "...Sì, perché infatti ridono. Non solo in Italia, ridono i francesi, gli americani e i cinesi. Questi ultimi amano molto la commedia all’italiana, la doppiano anche. Dovreste sentire Totò parlare in cinese! Universale perché i sentimenti sono sempre quelli, non cambiano mai: né con i secoli né con i paesi".
Quel pregio speciale di far sorridere ed anche intensamente ridere su temi drammatici che si riferiscono alla "lotta" per la vita, nella giungla metropolitana o moderna di un civiltà che ha il coraggio di mostrare il suoi lati fragili, vulnerabili, non posside limiti culturali. Sospende la coscienza ed ha fatto di quelle pellicole poesie agresti e cittadine, scardinando per un poco i limiti "severi" e rigorosi tra il bene ed il male, il brutto ed bello, il buono ed il cattivo. E' il pregio della umanità e della creatività che sanno usare l'ironia, tentando una dissacrante anatomia dell'uomo, per restituirlo agli affetti della comunità, che fosse la famiglia, il gruppo, la banda, la strada. Lezione di alta arte che certamente si presta ad essere utilizzata in cinematherapy per queste stesse motivazioni,e che fonisce un ampio ventaglio di situazioni e motivi.

CONFERENZA-LABORATORIO: Dentro la Pellicola, Cinematherapy e Cinema-dramaterapia

 venerdì 11 giugno (h.20,30)

Conferenza e laboratorio sulla Cinema Therapy tenuti da E. Gioacchini e M. P. Egidi, Atelier di Drammaterapia per le Risorse -Roma (riferimento scientifico, Cinema Therapy di Brigit Wolz).
Dopo un veloce primo tempo, che darà codice e legenda per la lettura del laboratorio successivo, i partecipanti sono condotti dentro la pellicola e rivisitare con i propri gesti ed abiti la proiezione di stralci cinematografici che raccontano la storia di tutti e una macchina con un’ottica specifica a riprenderla. Invito gratuito rivolto ad addetti ai lavori e professionisti del settore, oltre che al pubblico.

Info e prenotazioni: Cell. 340-3448785 o scrivendo a cinematerapia@yahoo.it


Poster: Fotolia_7341268_S, ktsdesign - Fotolia.com

Cinema-Dramaterapia, la Commedia Italiana: Il coraggio, se uno non ce l'ha, non se lo può dare

La commedia all’italiana, attraverso le interpretazioni dei grandi "mostri sacri", ci ha fornito una galleria di personaggi ritratti impietosamente nelle loro meschinità e nella loro ristrettezza di vedute, di interessi, di atteggiamenti. Personaggi non proprio esemplari o encomiabili, ma descritti e interpretati con tale maestria che, attraverso i moti del cuore, sono entrati nella memoria collettiva, nonostante si tratti di ladruncoli, arruffoni, imbroglioni, illetterati, sciovinisti, dongiovanni da strapazzo e via dicendo. L’avarizia, la fame cronica, le piccole astuzie sono quelle di Pantalone, di Pulcinella, di Arlecchino, ma non basta a riscattarli la gloriosa eredità diretta delle maschere della Commedia dell’Arte, poiché le loro deficienze etiche sono profonde, anche se giustificate dalle circostanze storiche (la guerra, la ricostruzione) o culturali (la borgata, la provincia) entro cui si muove la trama.
Eppure, ritengo che, se volessimo rinvenire nel cinema il prototipo del “grande eroe”, lo dovremmo ricercare proprio tra i personaggi della Commedia all’italiana (si parla della commedia di autore, beninteso). No, non aspettiamoci di rinvenire tra i personaggi secondari un coraggioso giovane, dai capelli biondi mossi dal vento che fa da controparte alla macchietta protagonista. Gli eroi veri sono proprio loro: i personaggi di Fabrizi, Gassman, Sordi, (nomi che solo a scriverli, tremano i polsi), il romano sbruffone e pavido, il pacioso uomo di mezza età, il pugile suonato e la nuova maschera, il grande Totò, solo per citarne alcuni.
Niente Rambo, nè Indiana Jones, niente muscoli d’acciaio o nervi saldi, niente sprezzo del pericolo. Qui si parla di altro. Il coraggio, se uno non ce l'ha, non se lo può dare”, diceva Don Abbondio. Ma è veramente così? Non voglio contraddire Manzoni che , tra l’altro, non esprime con questa frase il proprio pensiero bensì una riflessione coerente con il carattere del suo personaggio (non a caso, interpretato proprio da Alberto Sordi, nell’ultima rivisitazione televisiva de “I Promessi Sposi”.


 La vita personale insegna a tanti che coraggio ed eroismo possono essere pane quotidiano; come vogliamo chiamare , altrimenti, quella forza silenziosa e costante che ci fa sopportare i disagi, i malesseri e i problemi? Siamo forse meno eroi di un condottiero nella battaglia, quando affrontiamo o decidiamo i cambiamenti? Il mondo è pieno di eroi silenziosi che non sanno di esserlo. E allora, la tradizione della Commedia all’italiana, ci mostra questo afflato alla grandezza, al beau geste che è presente anche nelle coscienze più vili. Ritengo, senza dover fare ricorso ai numerosi riferimenti bibliografici di settore, che il coraggio, sia esso il colpo di reni o le piccole dosi di eroismo quotidiano, siano patrimonio evolutivo della specie umana. Ci è voluto fegato a lasciare la comoda vita sugli alberi e la dieta frugivora per passare alla stazione eretta e alla conquista di nuove nicchie.

Spesso, in molte pellicole, l’atto di eroismo arriva alla fine, ed è inatteso, drammatico, capace di sovvertire il tono della trama. Vogliamo ricordare il finale de “La Grande Guerra”, che proprio commedia leggera non è, dove il romano Oreste Jacovacci ed il milanese Giovanni Busacca, dopo essere sopravvissuti con piccoli mezzi ai pericoli del fronte, muoiono fucilati per non farsi umiliare dal disprezzo dell’ufficiale dell’esercito asburgico.
Oppure Alberto Sordi che ritrova amore e dignità, gettando nella piscina con un sonoro ceffone l’uomo politico di cui ha accettato di diventare portaborse perché stufo di una “Vita Difficile”.
E infine la scena più bella, più grandiosa. L’unica parolaccia pronunciata da Totò in un suo film, una frase che, nella circostanza del film e detta da un vero principe, supera il più nobile squillo di tromba.Guardiamo quell’eroismo che tracima, che irrompe, che DEVE rivelarsi e a poco a poco rompe la scorza di miseria morale da cui è avvolto il colonnello dell’esercito italiano, interpretato da Totò. Osserviamo gli sguardi dei soldati italiani, schierati in attesa della decisione del loro ufficiale: non vi sembra di vedere la certezza, la fiducia che il momento del riscatto morale, proprio e del loro ufficiale, sta arrivando inesorabile?

E non vi viene voglia di unirvi alla catarsi di quei personaggi meschini che ci hanno fatto vedere una guerra di occupazione, fatta di miserie, inciuci e piccole prepotenze, senza valori né ideali? Fosse pure una catarsi riassunta dal gesto così italiano, partenopeo, da “tarallucci e vino” di Nino Taranto sullo sfondo, ma così naturale e quotidiana.

Tutto è qui, in questa scena de “I due Colonnelli".
Tutto il resto è silenzio”, Amleto, W. Shakespeare.